UNA STORIA, MOLTE STORIE

Ciò che accade intorno all’abbazia ha inizio all’epoca dei Normanni, con la fondazione dei primi monasteri benedettini e delle nuove diocesi, che ebbero un ruolo di primo piano nella rinascita religiosa.

Voluto da Roberto il Guiscardo e dalla moglie Sichelgaita, il monastero de La Matina venne fondato nella diocesi di San Marco Argentano nel 1065 e consacrata nello stesso anno, su sua indicazione, “in riparazione dei suoi misfatti”, dall’Arcivescovo Arnolfo.

Nel 1092 La Matina è oggetto della visita di Papa Urbano II, luogo di sosta dei crociati in partenza per la Guerra Santa e tappa di un itinerario obbligato per i Cavalieri di Malta.
Nel 1194 il monastero ospita anche Enrico VI, figlio di Federico I Barbarossa, in marcia verso Palermo. Fu proprio Enrico VI che, rendendosi conto dello stato di decadenza della struttura decise di concederla ai cistercensi di Luzzi che con l’Abate Bono acquisisce il titolo di “Santa Maria de La Matina”.

Bisogna attendere il 1815 quando, il generale dell’esercito borbonico Luigi Valentoni, grazie ai meriti per il servizio prestato in guerra, riceve i ruderi dell’antica abbazia nella piana di San Marco Argentano e, dopo aver acquistato parte dei terreni circostanti, si fa carico dell’opera di restauro.

Un’eredità importante che porta oggi Michele Valentoni e la sua famiglia a riaccendere i riflettori su un luogo ricco di arte, bellezza e profonda ispirazione.

CENNI ARCHITETTONICI

Il portale d’ingresso, i laterali e i finestroni, in parte murati, conservano una struttura architettonica ogivale, in cui sono evidenti elementi tufacei e lunette decorative, mentre sulle facciate laterali si possono apprezzare capitelli decorativi di origine sveva.

La bellezza della Sala Capitolare e degli edifici conventuali ancora conservati, risale non alla costruzione originale ma al passaggio della struttura all’ordine cistercense, di cui si riconosce l’inconfondibile impronta proprio nella Sala del Capitolo, datata verso la metà del XIII secolo, uno dei locali più belli dell’abbazia.

Trasformata in chiesa, ne sono state murate le grandi finestre ed il portale che originariamente si apriva al chiostro.

Nella chiesa si possono apprezzare tre navate con campate di volta a crociera e fasci che poggiano sulle due colonne centrali. Spazio alla luce è dato dalle due finestre che si aprono ai lati delle navate.

Della ricostruzione e del restauro si fecero carico le maestranze sambucinesi che, sui moduli cistercensi già esistenti, hanno operato un rifacimento della struttura con applicazione dello stile gotico-ogivale.

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